Magazzino Memoria

Fino a quando la mia stella brillerà

03.02.2024
“Poi vidi Janine […]. Erano mesi che lavoravamo una accanto all’altra nella
fabbrica di munizioni. Janine era addetta alla macchina che tagliava l’acciaio. Qualche giorno prima quella maledetta macchina le aveva tranciato le
prime due falangi di due dita. Lei andò davanti agli aguzzini, nuda, cercando
di nascondere la sua mutilazione. Ma quelli le videro subito le dita ferite e
presero il suo numero tatuato sul corpo nudo. Voleva dire che la mandavano a morire. Janine non sarebbe tornata nel campo. Janine non era un’estranea per me, la vedevo tutti i giorni, avevamo scambiato qualche frase, ci sorridevamo per salutarci. Eppure non le dissi niente. Non mi voltai quando la
portarono via. Non le dissi addio. Avevo paura di uscire dall’invisibilità nella
quale mi nascondevo, feci finta di niente e ricominciai a mettere una gamba
dietro l’altra e camminare, pur di vivere.
Racconto sempre la storia di Janine.
È un rimorso che mi porto dentro. Il rimorso di non aver avuto il coraggio di dirle addio. Di farle sentire, in quel momento che Janine stava andando a
morire, che la sua vita era importante per me. Che noi non eravamo come gli
aguzzini ma che ci sentivamo, ancora e nonostante tutto, capaci di amare.
Invece non lo feci. Il rimorso non mi diede pace per tanto, tanto tempo. Sapevo che nel momento in cui non avevo avuto il coraggio di dire addio a Janine, avevano vinto loro, i nostri aguzzini, perché ci avevano privati della nostra
umanità e della pietà verso un altro essere umano. Era questa la loro vittoria,
era questo il loro obiettivo: annientare la nostra umanità. Ricorderò sempre
Janine, resterà nel mio cuore per sempre.”
Liliana Segre, da “Fino a quando la mia stella brillerà”, 2020
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Nell’immagine: Disegno di Charlotte Salomon, deportata ad Auschwitz nell’ottobre del 1943 e uccisa a 26 anni, incinta di poco mesi, subito dopo il suo arrivo

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