Epistolario

Lettere a Mita

04.03.2024
8 maggio 1972
“Da un mese sono nati alla mia gatta Paki-paki quattro gattini; e io vorrei imparare da loro il meraviglioso abbandono col quale piccoli, inermi, incapaci di tutto, si lasciano prendere da me, sollevare in luoghi altissimi (la mia spalla), trasportare in terribili deserti (la cucina o la terrazza), manipolare in cento modi… È il segreto della loro forza e anche della mia tenerezza – come non trattarli con immenso riguardo? Forse a noi tutti è chiesta questa cieca, temeraria fiducia. Le dico queste cose perché ne ho bisogno anch’io, più di lei forse in questo momento. Le parlai, un anno fa circa, di prove angosciose. Non sono finite, al contrario. E a volte – come in questo momento – io muoio letteralmente di paura, come il gattino sollevato improvvisamente su un’altissima spalla. Che fare? Nulla. Chi mi solleva così sa quel che fa. Lasciarlo dunque fare… È immensamente difficile ma è l’unica cosa che abbia un senso”.
16 luglio 1971
“Luce”, nel linguaggio di Dio, significa “prova”: un modo di oscurità più alta e imperscrutabile. […] Non sto a dirle di questa prova, la più oscura e misteriosa che io abbia mai traversato, anche perché P[adre] Benedetto (il mio vecchio confessore domenicano, che credevo una colomba ma in questa circostanza si è rivelato un’aquila) mi ha proibito di farne parola. E sarebbe, del resto, impossibile, questo tipo di tempesta non ha parole, un racconto forse potrebbe darne un’idea
un’idea ma non c’è nessuno abbastanza grande e delicato e terribile per scrivere un racconto di questo genere. Quello che importa è che durante l’intera discesa agli Inferi […], non mi ha mai abbandonata la certezza di trovarmi – e non sola – al centro di un mistero, e di un mistero di grazia. Il tappeto sa, l’altro lato – che si era fatto talmente percepibile nella assoluta inesplicabilità degli avvenimenti da sostenermi veramente sull’abisso come un ‘tappeto volante’”.
Cristina Campo, da “Lettere a Mita”

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