Affabulazioni

La ballata di Iza

15.04.2024
“Da qualche tempo Iza si tratteneva all’ospedale oltre la fine dell’orario di lavoro.
In realtà nessuno se ne stupí. Iza amava il suo lavoro e ogni giorno si dedicava ai suoi compiti con uno zelo superiore a qualunque altro collega. Ascoltava con interesse i lamenti dei malati; mentre discuteva con loro prendeva note e cercava di individuare non solo i punti dolenti negli arti o nelle articolazioni ma anche di collocare in qualche modo il paziente nel suo mondo. Iza credeva che per poter sconfiggere un male occorresse conoscere il corpo nella sua globalità, e le era anche chiaro che il decorso di una malattia dipendeva dal rapporto tra corpo e sistema nervoso. Ogni paziente rappresentava un problema appassionante da risolvere, nessuno si alzava da un suo consulto con la sensazione di essere stato abbandonato a se stesso con una ricetta in mano, sballottato da una parte all’altra dell’ospedale, infilato dentro un macchinario elettronico, sottoposto a una cura di punture, immerso nella vasca di un bagno a peso, come in una specie di invisibile catena di montaggio. Di fronte a Iza tutti sentivano immediatamente che quel medico li avrebbe trattati con la stessa attenzione di un paziente privato che paga profumatamente. Secondo il direttore lei era un’ottima diagnosta, il suo unico difetto era che si perdeva un po’ troppo nelle minuzie, ed effettivamente visitava un numero di malati inferiore agli altri colleghi nel reparto, ma la proporzione delle sue guarigioni era piú alta. I malati vicino a lei si rilassavano, c’era anche chi le rovesciava addosso questioni private penose, Iza non congedava mai nessuno senza prima averlo ascoltato. Bardi, il collega più giovane, aveva composto un inno malizioso su Iza per uno spettacolo di carnevale, una volta aveva schizzato anche una sua caricatura rappresentandola con dieci paia di orecchie e un numero enorme di braccia, come fosse una specie di Shiva con il camice medico. Bardi era innamorato di Iza, ogni tanto diceva terribili oscenità sul suo conto solo perché si vergognava di venerarla troppo.
Iza riceveva premi speciali piú frequentemente degli altri medici, tuttavia non se ne stupiva, da studentessa aveva vinto numerose borse di studio che la scuola talvolta le conferiva quasi controvoglia, obbligata dai suoi ottimi risultati. Era nata per eccellere negli studi, era sempre affidabile. Non si concedeva mai una giornata d’ozio, non sprecava un pomeriggio, preparava ogni esame seguendo un piano di lavoro ferreo, serio, meticoloso. Sua madre la prendeva in giro quando tornava a casa stanca morta dall’università e, invece di mangiare e coricarsi, cominciava a mettere in ordine qua e là. – Non ne hai avuto abbastanza per oggi? – chiedeva la madre sorridendo. – Se non chiudi come si deve il rubinetto dell’acqua e se lasci le tue scarpe abbandonate in mezzo al bagno – si lamentava Iza, – non posso andare a letto cosí -. Anche da bambina, quando prometteva qualcosa, si poteva contare sulla sua parola come fosse un adulto. Su quella di Vince, no.
Vince mancava spesso alle sue promesse, o perché se ne scordava o perché non aveva i soldi per mantenerle. In questi casi la madre trovava Iza chiusa nella dispensa a piagnucolare tutta sola, stretta contro le mensole, e aveva la sgradevole sensazione che la bambina non piangesse tanto per il regalo mancato quanto piuttosto per il suo senso morale ferito dalla constatazione che qualcuno non aveva rispettato l’impegno preso. Bardi provava spesso un senso di disperazione quando veniva convocato dal direttore perché si era scordato di svolgere l’incarico assegnato sei mesi prima e vedeva sulla scrivania le statistiche di Iza, i suoi magnifici grafici, sentendosi ripetere che la relazione della Szocs era stata di nuovo la prima a essere consegnata.
Non arrivava mai in ritardo, però non amava trattenersi la sera. Quando aveva finito il suo turno, e non era eccessivamente stanca, le piaceva uscire con i colleghi di lavoro, si sedevano in un locale a bere caffè, birra, si telefonavano, di tanto in tanto invitava qualcuno a fare una passeggiata, la maggior parte delle volte si trattava di una donna separata o di una ragazza giovane, Iza non amava ascoltare le madri felici né le donne che vivevano un matrimonio pieno d’armonia – il ricordo di Antal era ancora troppo vivo.
Negli ultimi tempi, mentre metteva in ordine gli appunti, preparava un caffè, sfogliava i giornali, o restava semplicemente seduta a scarabocchiare un pezzo di carta, faceva, a modo suo, la stessa cosa della vecchia: ripensava alla sua vita, cosa che raramente aveva avuto il tempo di fare.
Si scervellava per capire come agire con sua madre.
Iza amava i suoi genitori, con l’attaccamento di una ragazzina, e nello stesso tempo con la passione di una compagna di sventure. Aveva capito in fretta perché, e in che cosa, la loro vita si differenziava da quella delle altre persone che conosceva, si era convinta – piú di sua madre! – che essere la figlia di Vince non fosse una vergogna bensí un onore, e la moglie di Vince dovesse essere fiera di un marito come lui. Le difficoltà materiali non la spaventavano, talvolta era persino divertente, con il suo cervello ancora da bambina, poter aiutare sua madre a sbrogliare problemi domestici all’apparenza insolubili. Iza era convinta che la sua visione del mondo si fosse plasmata su quella di Vince, una persona completamente priva di coscienza politica che agiva soltanto seguendo un innato istinto di umana onestà. E sapeva di aver potuto terminare gli studi, arrivando alla laurea, grazie al senso pratico della madre e alle sue astuzie per eludere la povertà. E così, appena ne ebbe l’opportunità, cercò di rimborsarla, in modo del tutto naturale, senza bisogno di essere sollecitata o pregata.
A ogni giorno di paga, Bárdi si lamentava che del suo salario quindicinale gli restasse ben poco dopo averlo diviso con la «sua vecchia» di Szalka; Iza, invece, non aveva mai detto che aiutava qualcuno, o in generale che aveva ancora dei famigliari, e quando c’era da versare l’imposta sull’Assenza di prole o il Prestito della Pace non s’era mai lamentata di avere a suo carico la madre e il padre. Il viso provinciale della vecchia era conosciuto solo nella sua città natale, da poche persone, per lo piú ingenue e di scarsa intelligenza, che appartenevano al suo mondo e a quello di Vince. Quando chiese un permesso perché suo padre stava morendo e aveva intenzione di far trasferire sua madre da lei dopo il funerale, Bárdi, che s’era accollato il suo carico di lavoro, si senti troppo male per andarle a presentare le sue condoglianze – che diavolo si può dire in una circostanza del genere? Pensò che lui non avrebbe mai preso la madre con sé, preferiva darle i tre quarti dello stipendio e andare a dormire sotto i ponti!”
Magda Szabò, da “La ballata di Iza”, 2006 – Traduzione di Bruno Ventavoli
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Nell’immagine: Francis Picabia, artista francese

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