Affabulazioni

La pozza del mendico

21.04.2024
“E’ necessario andare molto lontano. Un luogo che non raggiungono né la vista, né il mare. Andammo là. Sotto le stelle che paragonate ai granelli di sabbia della spiaggia si vedevano grandi, parlò il Parroco. La sera, conclusa la predica, il viso gli rimase come una roccia.
Chiamavano Parroco quell’uomo, un miscuglio di uccello e di uomo, perché era stato nominato dal Vescovo a dirigere la parrocchia dalla quale uscimmo verso questa spiaggia che non raggiungono né la vista, né il mare. Il Parroco era sordo, ma noi gli parlavamo sottovoce e ci udiva meglio. Sordo per le voci dure, i toni sgradevoli, gli strilli, i rumori stridenti. Il Parroco era cieco ma noi ci mettevamo sotto i suoi occhi, tranquilli e sorridenti, ed egli ci vedeva. Cieco per i cattivi sguardi, la luce artificiale e i gesti d’ira e di collera. Il Parroco era insensibile, morto per coloro che non l’amavano, morto come le pietre, insensibile alle ferite, ai colpi, ai bruciori, ma noi ci scaldavamo le mani con l’alito delle nostre bocche per toccarlo e affinché ci sentisse.
– Chi siete? ci diceva.
E gli rispondevamo a voce bassa, affinché ci udisse:– Noi… per non confessargli che non sapevamo con precisione chi fossimo e non domandargli se lui lo sapeva.
E’ necessario andare molto lontano. Dove non arrivano né la vista né il mare. Andammo là. Sotto il sole, che paragonato alle stelle si vedeva grande, parlò il Parroco. Quando la predica fu conclusa il suo viso rimase come una roccia di fronte al mare.
Ci mettemmo sotto i suoi occhi sorridenti e tranquilli, gli parlammo con parole dolci e ci scaldammo le mani con l’alito delle nostre bocche per toccargli le braccia magre.– Chi siete? ci diceva.
E gli rispondevamo a voce bassa:– Noi… per non confessargli che non sapevamo con precisione chi fossimo e non domandargli se lui lo sapeva.
Una notte e un giorno, dopo la nostra partenza, vedemmo passare un bastimento. Non riuscimmo a sapere se era acqua o aria la superficie su cui navigava nella foschia confusamente illuminata dalla luna. I suoi alberi maestri senza bandiere avevano le vele gonfie per il gran piangere. Sui ponti andavano e venivano delle luci, come se aspettassero l’arrivo di nuovi passeggieri o lo scarico di qualche merce proibita. Non vedemmo né sapemmo di più. L’ombra di un bastimento nella foschia. E per questo venimmo così lontano.
Prima non sapevo chi fossi né ora so chi sono, ma tra l’equipaggio del bastimento mi è sembrato di riconoscere il Parroco. Non mangia, non parla e lavora come un negro. E’ lui. Egli ci portò a veder passare quel bastimento. Deve sapere qualcosa di più di ciò che accadde quella notte. Quella volta, quando si concluse la sua predica, il suo viso rimase come una roccia di fronte al mare. Chiamavano Parroco quell’uomo, miscuglio di uccello e di uomo, perché era stato designato dal Vescovo a dirigere la parrocchia dalla quale uscimmo.
Poco a poco sono andate cessando le canzoni e i ronfi dell’equipaggio che imitava il frangere delle onde contro lo scafo della nave che sembra camminare immobile. Così ampia è la notte nel mare che la nave avanzava quasi senza rumore.Trovo il Parroco accanto all’albero di prua. I suoi occhi verso l’immensità, le mani rilasciate, abbandonate al proprio peso.– Parroco…! la mia voce gli imprime un freddo sulla schiena che lo fa tremare, che fai qui…?
– Sono il capitano del bastimento…La sua risposta mi turba.– Dove vai, anzi dove andiamo?– Non andiamo, veniamo…– Ebbene da dove veniamo…Il suo viso rimase come una roccia. Non rispose.
– Parroco…! era passato tanto tempo, che senza dubbio mi aveva dimenticato, la mia voce gli imprime di nuovo un freddo sulla schiena che lo fa tremare. Se sei il capitano della nave, dimmi qual è la nostra rotta? e quale il nostro scopo? quale il nostro porto di destinazione…?– Non abbiamo rotta né porto di destinazione…– Ma lascia intravedere uno scopo…– Navigare…
Il suo viso rimase come una città di metallo di fronte a una tempesta lontana. Il vento ci feriva le labbra salate e il sonno ci chiudeva gli occhi.
– Parroco…! nell’udirmi, era trascorso tanto tempo in un secondo, lo scuote di nuovo il freddo, trema; ricordi che con me ed altri che non conobbi né seppi se esistevano, hai visto passare un bastimento offuscato dalla nebbia, non sappiamo dove, non sappiamo quando…
– E allora, perché mi domandi che facciamo in mare…? Quella volta passò così lontano…
Tra la gente di mare tatuata fino ai denti, bestie con risate a schiocco, mi informai e seppi che il Parroco aveva noleggiato il bastimento in cui ci trovavamo e che da qualche tempo viaggiava senza una meta fissa.
Di notte accanto all’albero di prua, lo trovai sempre, gli occhi di cieco che vede nella immensità, inchiodati nel mare, e le sue mani che cercavano il fondo con il peso totale di ancore. Ci saltava per il corpo la paura che fosse un fantasma e che in quella nave senza capitano ci portasse a realizzare i nostri poveri sogni.– Parroco…E il Parroco era già in mare, un gigante con i piedi di sabbia. Ci mettemmo davanti ai suoi occhi, sorridenti e tranquilli, affinché ci vedesse, e gli parlammo molto piano, affinché ci sentisse.
– Parroco, dove andiamo, di’…?
Non rispose. Il suo viso rimase come una città spenta.
Ieri notte vedemmo passare una nave senza luci né a babordo né a tribordo e avremmo giurato che era una nave morta che navigava alla deriva, forse il bastimento che cercavamo, se non avessimo udito nel fragore del vento una voce umana che partiva dal mascherone di prua, clamore di una lingua dolce.– Ahi, ahimè, umani, gemeva, come è diversa l’ombra della morte dall’oscurità luminosa della notte!
Qualcuno di noi gridò:– Chi sei?– … Chi… fu quasi l’eco e dopo una lunga attesa rispose:– Chi sono…? Non so chi sono… Nella cavità delle mie mani raccoglievo l’ombra che gocciola dalle palpebre dell’uomo per accrescere la notte, ma ora non ho più mani, e gli uomini non hanno più palpebre dove unire per poco le tenebre e il sogno. Sono sempre svegli, svegli come il pilota che conduce la nostra nave.
Il Parroco ci udì piangere di paura fino al mattino, accanto alle stelle smilze.”
Miguel Ángel Asturias, da “La pozza del mendico”, 1961 – Traduzione di Emilia Mancuso
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In evidenza: Charles Temple Dix, “The Flying Dutchman”

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