Affabulazioni

Rosa Berchtold

21.04.2024
Rosa Berchtold quella mattina aveva trovato sul suo tavolo da lavoro la seguente nota: «Un tailleur primaverile elegante in gabardine di lana. Gonna leggermente scampanata, giacca molto ampia con collo alto a listino. Taglia 42-44. Occorrono 3 m di tessuto alto 140 cm». Rimase a guardare per alcuni minuti la pagina della rivista di moda su cui c’era il modello richiesto, segnato a matita rossa, ma appena si accorse che Berta e Maria la fissavano con aria un po’ beffarda, vinse il proprio disagio e, non senza una certa solennità, passò davanti alle due e si recò al telefono.
Il caporeparto Blümlein fu perfino gentile con lei. Le fece piacere udire la sua voce burrosa e gentile, e quando lui la pregò di andare lei stessa a prendere la stoffa, non le parve una pretesa eccessiva, anzi, gliene fu grata. Berta e Maria avevano già steso le loro stoffe e in quel momento sembravano molto pensierose. Rosa all’improvviso sentì il bisogno di dire una parola gentile, ma come al solito non le venne in mente niente di adatto, quindi lasciò il locale in assoluto silenzio e, colma di dolcezza, chiuse la porta. Dalla finestra sulle scale si vedeva il giardino del titolare della ditta, in cui erano già sbocciati dei narcisi bianchi, e dei fiori gialli sui cespugli. Lo osservò timidamente e pensò che non avrebbe mai avuto un giardino del genere. Anche le gialle torri della villa con i loro tetti in rame la spingevano a fare dei paragoni che si lasciavano dietro una tristezza desolata.
Non si faceva illusioni, e anzi, sapeva bene che avrebbe dovuto lavorare per lo meno altri cinque anni, rinunciando a tutto, solo per potersi comprare una casetta in legno del tipo più economico. Naturalmente non avrebbe avuto neppure una torre e in giardino ci sarebbero state al massimo un paio di aiuole per la verdura. Ma nemmeno questo era sicuro, perché ultimamente si ricominciava a parlare di licenziamenti. Era difficile che toccasse a Berta e Maria, avevano imparato il loro mestiere, e per giunta andavano più d’accordo di lei con la signorina Bibiana. Rosa ammetteva anche di aver perso molto la mano negli anni di guerra, durante i quali aveva lavorato in una fabbrica di munizioni, e per questo era sempre molto in apprensione quando doveva tagliare una stoffa costosa. Inoltre la signorina Bibiana le aveva detto fin dal primo giorno che qualsiasi tessuto sprecato o cucito male le sarebbe stato detratto dal salario, ovviamente insieme al tempo perso. Finora Rosa in realtà aveva dovuto lavorare solo tagli facili e non costosi, ma stavolta si trattava di gabardine di lana. Probabilmente quella verde oliva, che aveva già ammirato qualche volta nella vetrina degli articoli di lusso. Rabbrividì entrando nel reparto tessuti. Ma il signor Blümlein, che stava servendo una cliente, le fece cenno con i suoi freddi, minuscoli occhi azzurri. Il buon profumo della signora si diffondeva in tutto il reparto, e le sue unghie dipinte di rosso spiccavano sul verde oliva come fiori esotici. «Sì, è un colore molto in voga quest’anno» disse Blümlein mentre sistemava con un gesto assai discreto alcune pieghe del tessuto sulle spalle della signora.
Lei fece mezzo giro di fronte allo specchio, e Rosa pensò di non aver mai visto un volto così bello. Blümlein fece un cenno più brusco con gli occhi, scrisse rapidamente un messaggio sul suo bloc notes e lo sospinse verso Rosa. «Guardi bene, tenga d’occhio le misure, faccia attenzione soprattutto all’ampiezza delle spalle, è la probabile indossatrice di quest’anno. Profuga dai Paesi baltici!»
Christine Lavant, “Rosa Berchtold”, da “Nell” – Traduzione di Fabio Cremonesi, 2009
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