Affabulazioni

Sfigurata

21.04.2024
“Per ore e ore i rappresentanti dei media sfilano davanti al mio capezzale e solo in quel momento realizzo l’impatto di ciò che mi è accaduto. Certo non sono l’unica donna picchiata del Paese, purtroppo, ma sono stata la prima a scatenare una reazione così imponente. Mi sorprende che i giornali si buttino pieni di indignazione su una storia di aggressione. Mai visto prima! Di solito prestano pochissima attenzione ai problemi delle donne e, intervista dopo intervista, finisco per chiedermi se sono una martire o, mio malgrado, una militante…
Accetto di darmi in pasto ai media perché penso sia indispensabile suscitare il dibattito sui problemi della nostra società, se vogliamo che sia la società stessa a risolverli. Io, la presentatrice che chiedeva alle donne di raccontare la loro storia, come posso rifiutare di rendere pubblica la mia?
È allora che ho capito quanto sia più difficile raccontare che ascoltare. Ma mi sono anche resa conto che la mia gente vuole cambiare, anche se non sa come farlo. Non si può dire dall’oggi al domani: “Abbiamo sbagliato a comportarci così con le donne”.
È un passo molto difficile. Ma prima di tutto è importante mettere al corrente l’opinione pubblica, incitarla a trovare delle soluzioni.
Il giorno dopo, il mio orribile ritratto campeggia su tutte le prime pagine e MBC FM manda in onda la mia intervista. È un momento durissimo, immagino i commenti:
“Era tanto bella…”
Eh, sì, e non lo è più! Tutt’altro! E non è solo lo specchio a rimandarmi la terribile immagine del mio volto devastato, ma anche le prime pagine dei quotidiani, lo schermo della tivù. Non vivo più il mio dramma da sola, nell’intimità di una stanza d’ospedale, l’ho svelato a tutti e tutti hanno scoperto questa faccia distrutta per sempre. Speriamo solo che capiscano che sorte è riservata talvolta, qui da noi, alle donne.
Questo è il problema. Chiedere delle riforme radicali significa prendersela con una cultura maschile che ha radici profondissime e in cui la donna non ha molto spazio al di là della cucina e del letto.
In Arabia Saudita le decisioni spettano solo a quelli che fanno parte delle classi sociali più elevate, che non conoscono più la tradizione popolare e non sentono, non capiscono le rivendicazioni della classe media.
Ecco perché sono capitata al momento giusto con i miei occhi cerchiati e la faccia spappolata. Sono capitata al momento giusto perché sono conosciuta, famosa. Il Paese è abituato a vedere il mio volto in televisione. Non sono più soltanto una donna, faccio parte della quotidianità, sono un’immagine familiare che è stata distrutta. Massacrandomi, mio marito ha anche privato la gente di uno dei suoi volti familiari, e questo è grave.
Così grave che l’emiro di Gedda mi ha fatto riferire da uno del suo seguito durissime parole di condanna per il gesto di Rachid, assicurandomi di aver incaricato le forze dell’ordine di fare di tutto per ritrovarlo, perché possa essere condannato severamente secondo la legge. L’emiro mi ha augurato inoltre una pronta guarigione, auspicando che io riesca a lasciarmi presto alle spalle questo doloroso ricordo.
Sono parole che mi fanno venire la pelle d’oca per l’emozione e la commozione. Un’altra grande esclusiva! Non si era mai visto prima un emiro, membro della famiglia reale, prendere le difese di una donna maltrattata. Anzi, era impensabile. In piena crisi internazionale, con l’Arabia sospettata di finanziare sottobanco il terrorismo, l’emiro dimostra che non è così, che la società saudita si evolve. È vero che si tratta di una presa di posizione privata, ma segna una svolta. Sono sicura che passerà di bocca in bocca, che verrà letta come una volontà di cambiamento, un segnale di pace.
Realizzo appieno l’importanza della dichiarazione e ne valuto le conseguenze. Penso a mio marito, che adesso saprà di essere braccato senza quartiere, sempre che non abbia fatto l’idiozia che continuo a temere. L’ondata mediatica deve averlo sommerso comunque. Sognava la celebrità: eccolo servito. Anche se penso che ne farebbe volentieri a meno.”
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Immagine dal web
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“La notizia mi disintegra. Non ci credo, sta scherzando, forse. Non è il tipo. Infatti non ride. Divento rossa come un peperone e le chiedo di ripetere. Ha l’aria imbarazzata mentre dice seccamente:
“Ma sì, presto sarai donna… è normale che gli uomini comincino a interessarsi a te. Alla tua età la nonna era già stata chiesta in sposa parecchie volte”.
Mi sembra che la terra mi si spalanchi sotto i piedi. Le immagini più insensate mi attraversano il cervello. Un uomo mi ha chiesta in moglie… Matrimonio? Ma se sino a poco fa al massimo facevo la damigella, ai matrimoni! Un uomo? E cos’è un uomo? Non è uno della mia età: un uomo è mio padre, è zio Farid! Non potrei certo essere la loro moglie, posso essere solo la figlia, la nipote di un uomo.
Non capisco più niente e guardo disperata mia madre, sicura che scoppierà a ridere, dicendomi che voleva solo farmi paura, che era un gioco…
Purtroppo non si gioca più. Un uomo ha davvero chiesto la mia mano a papà. Fa il pilota per una compagnia aerea di Gedda. Mio padre ha preso in considerazione la proposta, che gli è sembrata conveniente. Ecco perché mia madre sta cercando di prepararmi.
Ben presto non ho più dubbi: è vero, ma non gli do importanza, non mi rendo pienamente conto. A undici anni è impossibile immaginare il matrimonio. È vero che le orientali si maritano prima delle occidentali, è vero anche che all’epoca di mia nonna certi uomini sposavano delle bambine, ma i tempi sono cambiati, oggi l’età giusta per una donna è tra i diciassette e i diciotto anni. Allora perché contravvenire alla regola? Perché fare un passo indietro e sposare proprio me a undici anni? Che mio padre voglia liberarsi di me? Non ci posso credere! Evidentemente c’è qualcosa che mi sfugge.
Il giorno dopo, appena tornata da scuola, filo immediatamente in camera, ma mia madre mi raggiunge per riprendere lo stesso argomento:
“È un ottimo matrimonio per te, sei molto fortunata. Il tuo futuro marito è un pilota di linea, ti rendi conto? Non sarà quasi mai a casa, lo vedrai di rado, dovrai cucinare pochissimo e potrai fare quello che vorrai”.
Comincio a rendermi conto che sta parlando proprio sul serio, ma il resto continuo a non capirlo. In una cosa la mamma ha ragione: la prospettiva di non vedere spesso mio marito è rassicurante. La mia vita non sarà troppo stravolta, continuerò ad andare a scuola e, forse, avrò ancora la mia camera in casa. Ottimo. Comunque è un paradosso. Allora perché mi fanno sposare? Se non vedrò mai mio marito, se la mia vita e la sua non cambieranno, perché non mi lasciano in pace? Perché non mi permettono di crescere tranquillamente con la mia amata sorella e le mie compagne di scuola? È al di là di ogni comprensione.
Non sono ancora riuscita a fare un po’ d’ordine nella mia testolina quando, qualche giorno dopo, la mamma mette fine drasticamente ai miei tormenti. Appena tornata da scuola non mi dà neanche il tempo di posare la cartella e mi dice: “Tuo padre ha respinto la proposta di matrimonio. Questa storia è finita per sempre”.
Stranamente il colpo è altrettanto violento di quello ricevuto all’annuncio della domanda. Un’ondata di gioia sale dentro di me, mi pervade, mi soffoca. Sono troppo felice, eppure voglio sapere tutto per sentirmi veramente al sicuro:
“Cos’è successo? Il pilota ha fatto qualcosa che non è piaciuto a papà? Gli ha mentito?”
“No, tuo padre si era confuso sull’età, credeva che avessi dodici anni. Quando gli ho fatto presente che ne hai solo undici ci ha ripensato. Sei troppo piccola, non sei ancora donna e bisogna aspettare un po’.”
Rania al-Baz, “Sfigurata. La coraggiosa testimonianza della giornalista televisiva saudita massacrata dal marito”, Traduzione di Antonella Viale, 2006

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