Linguaggi

Ricette poetiche

20.04.2022
La mousseline di fragole di Georges Perec
“Prendere trecento grammi di fragoline di bosco o quattro stagioni. Passarle al setaccio fitto. Mescolare con duecento grammi di zucchero grezzo. Mescolare e incorporare al composto mezzo litro di panna montata a neve. Riempire con il detto preparato delle coppette di carta e metterle al fresco per due ore in un portaghiaccio piuttosto stretto. Al momento di servire, guarnire ogni coppetta con una grossa fragola.”

Georges Perec, da “La vita. Istruzioni per l’uso”

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This winter day
“La cucina è la sua prontezza
cose bianche, verdi e arancioni
si dissanguano nella zuppa.
Un sacrificio rituale che accende
un odore nel mio naso e fa sì che
la mia lingua inizi a marciare
scivolando nella liquidità delle sue gocce.
Il giorno, striato d’argento
nella pioggia, esita fra
la finestra e la zuppa.”
Maya Angelou, “This winter day”, da “The complete poetry”

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Kaoru Yamada

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Risotto e poesia

“Occorre di carbone un vivo fuoco;
la casseruola; cento grammi buoni
di burro e di cipolla qualche poco.
Quando il burro rosseggia, allor vi poni
il riso crudo; quanto ne vorrei
e mentre tosta l’aglio e scomponi.
Del brodo occorre poi: ma caldo assai;
messine un po’ per volta,
che bollire deve continuo, né asciugarsi mai.
Nel tutto, sulla fine, diluire
di zafferano un poco tu farai
perché in giallo lo abbia a colorire.
Il brodo tu graduare ben saprai,
perché denso sia il riso, allor che è cotto.
Di grattugiato ce ne vuole assai.
Così avrai di Milan pronto il risotto.”

Augusto Guido Bianchi, da “La cucina italiana”

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Ostriche

“Ostriche mangiammo
dolci bellezze blu,
dodici occhi mi guardavano dal piatto,
asperse di limone e di tabasco.
Avevo paura di mangiare questo padre-cibo
e il Padre rise
e tracannò un Martini
trasparente come lacrime.
Era un farmaco soave
che dal mare veniva alla mia bocca
molle e grassoccio.
Lo ingollavo.
Andava giù come un gran budino.
L’ho mangiato all’una in punto.
L’ho mangiato alle due in punto.
E poi ho riso, abbiamo riso allora
e − fammelo scrivere −
c’è stata una morte,
la morte dell’infanzia
là, alla Casa dell’Ostrica
avevo quindici anni
e mangiavo le ostriche.
Una bambina sconfitta:
la donna aveva vinto.”

Anne Sexton, “Ostriche”, da “L’estrosa abbondanza”, 1977

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Alexander Adriaenssen; “Natura morta con ostriche”

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Giovanni Pascoli e la piadina

“(…) Il mio povero mucchio arde e già brilla:
pian piano appoggio su due mattoni il nero testo di porosa argilla.

Maria, nel fiore infondi l’acqua e poni il sale; dono di te, Dio;
ma pensa! l’uomo mi vende ciò che tu ci doni.

Tu n’empi i mari, e l’uomo lo dispensa nella bilancia tremula:
le ande tu ne condisci, e manca sulla mensa.

Ma tu, Maria, con le tue mani blande domi la pasta e poi l’allarghi e spiani;
ed ecco è liscia come un foglio, e grande come la luna;

e sulle aperte mani tu me l’arrechi,
e me l’adagi molle sul testo caldo, e quindi t’allontani.

Io, la giro, e le attizzo con le molle il fuoco sotto,
fin che stride invasa dal calor mite, e si rigonfia in bolle:
e l’odore del pane empie la casa. (…)”

Giovanni Pascoli, da “La piada”

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Il nostro pane

“La vita ci darà ancora
rettangoli di terra povera
con poche chiazze di frumento
ma noi sappiamo
come si taglia il pane:
con le mani.
La parte più grande all’amico
la parte più piccola a noi.
Il nostro pane è il cuore.”
Gianni Rescigno, “Il nostro pane”
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Albert Anker, “Ragazza con pagnotta”, 1887
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Coercizione
“Mangiamo vite altrui per poter vivere.
Maiale deceduto con crauti defunti.
Il menu è un necrologio.
… Anche l’uomo più buono
addenta e digerisce qualcosa di ammazzato
perché il suo cuore tenero
non cessi di pompare.
Anche il più lirico dei poeti,
anche il più austero tra gli asceti
mastica e inghiotte qualcosa
che pure era vivo e cresceva.
Non trovo coerenza tra questo e gli dei buoni.
Forse perché un poco creduloni,
oppure ingenui,
hanno dato il dominio del mondo alla natura.
Ed è lei, quella pazza, che ci impone la fame,
e là dove c’è fame
finisce l’innocenza.
Alla fame si aggregano rapidamente i sensi:
il gusto, l’odorato e il tatto, e la vista,
infatti le pietanze non sono tutte uguali
e tanto meno i piatti.
Partecipa all’azione
anche l’udito, infatti
a tavola si fanno spesso discorsi allegri.”
Wislawa Szymborska, “Coercizione”, da “Basta così”, 2012
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Cena di sabato sera
“La cipolla, la grattugerò
perché non si secchi la mia fonte di lacrime.
La patata, la pelerò
per il tuo gioco di prestigio con la pelle.
Lascia che suoni Nusrat Fateh Ali Khan, il menestrello sufi
perché ci apra una finestra su Konya,
una finestra adorna di narcisi, sonnolenta e languida,
e piena di piccioni viaggiatori.
Se chiamano
da MasterCardo dall’Agenzia delle io-non-ho-affatto Entrate
di’ loro che sono andato in Kashmir
a cercare la palla da polo persa da tempo dal re indiano Aurangzeeb,
e che non è chiaro quando tornerò.
Non ridere, mia cara!
Le incomprensioni culturali
allontanano i seccatori
più in fretta di una vuota conversazione.
Ora, mentre questo riso indiano invecchiato cuoce,
metti due bicchieri, labbro a labbro, vicino alle nostre mani
della nostra annata più vecchia, quattro anni
e un ricordo del secolo scorso.
Un sorso di buon vino
è sufficiente a cancellare un secolo intero dalla memoria.
Sorso dopo sorso
possiamo tornare così indietro
che dopo cena
possiamo trovarci al chiaro di luna
tra i palmeti della Mesopotamia,
e verso mezzanotte
in un luogo primordiale nudo e sconfinato.”
Abbas Saffari (Iran), “Cena di sabato sera”, da “Fiammiferi bruciati”, 2005
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In evidenza: Foto di Sonia Simbolo

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